Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: Ai fini della configurabilità del reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, non è necessario un patto espresso fra gli associati, potendo la prova del vincolo associativo desumersi dalle modalità esecutive dei reati-fine, dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori, dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti e dalla sussistenza di una struttura organizzativa, anche non particolarmente complessa, indicativa della continuità temporale del vincolo criminale. La partecipazione all'associazione criminosa non richiede la precisa conoscenza e deliberazione di tutte le attività rientranti nel programma comune, essendo sufficiente la consapevolezza del partecipe della natura illecita di tali attività. La prova del reato associativo può essere raggiunta anche attraverso l'accertamento della commissione dei singoli reati-fine, purché emerga la continuità dei contatti, la frequenza degli aggiornamenti, la familiarità e la immediata reciproca comprensione del linguaggio criptico utilizzato dagli associati, elementi che manifestano concretamente l'operatività dell'associazione. Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 7 della L. n. 203 del 1991, è sufficiente che la condotta criminosa dell'imputato sia inequivocabilmente diretta a realizzare, con il compimento dell'interesse criminoso coltivato in proprio, la sicura agevolazione delle finalità della più ampia associazione criminale concretamente supportata.