Cassazione penale Sez. V sentenza n. 26049 del 30 giugno 2008

ECLI:IT:CASS:2008:26049PEN

Massima

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Il dolo nella diffamazione non richiede la prova di un animus iniuriandi vel diffamandi, essendo sufficiente il dolo generico, anche nella forma del dolo eventuale, laddove l'agente abbia consapevolmente utilizzato espressioni socialmente interpretabili come offensive della reputazione altrui, a prescindere dalla effettiva volontà di ledere la reputazione stessa. Pertanto, l'attribuzione ad un soggetto di un comportamento costituente reato, come la tentata truffa, integra di per sé un contenuto lesivo della reputazione, a prescindere dalla valutazione di irrilevanza operata da uno dei destinatari della comunicazione diffamatoria. Il giudice di merito, nel valutare la sussistenza del reato di diffamazione, è tenuto a verificare la sussistenza del dolo generico, anche nella forma del dolo eventuale, senza poter escludere la responsabilità penale sulla base della mancanza di una specifica volontà di offendere la reputazione altrui.

Sentenza completa

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARASCA Gennaro - Presidente

Dott. OLDI Paolo - rel. Consigliere

Dott. BRUNO Paolo Antonio - Consigliere

Dott. DIDONE Antonio - Consigliere

Dott. DUBOLINO Pietro - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO CORTE D'APPELLO di TRIESTE;

avverso la SENTENZA del 06/11/2006 GIUDICE DI PACE di TRIESTE;

Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;

Udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLO OLDI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Giovanni Galati che ha concluso per il rinvio a nuovo ruolo e, in subordine, per il rigetto del ricorso.

M…

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