Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: In presenza di manufatti edilizi realizzati abusivamente e non sanati né condonati, gli interventi successivi, anche se riconducibili a categorie edilizie come la manutenzione straordinaria, il restauro, la ristrutturazione o la realizzazione di pertinenze, ripetono la medesima condizione di illegittimità dell'opera principale a cui accedono strutturalmente. Pertanto, in tali casi, il Comune ha l'obbligo di ordinare la demolizione di tali opere, senza che sia necessaria una specifica motivazione in ordine all'interesse pubblico sotteso alla sanzione demolitoria, essendo questa in re ipsa a fronte dell'accertata abusività. La possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive quando ciò sia di pregiudizio alle parti legittime costituisce solo un'eventualità della fase esecutiva, subordinata alla circostanza dell'impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi. Inoltre, la presentazione di una domanda di condono edilizio non abilita l'esecuzione di ulteriori opere, le quali devono essere realizzate nel rispetto della procedura prevista dall'art. 35 della legge n. 47 del 1985, ancora applicabile per effetto dei rinvii operati dalla successiva legislazione condonistica.