Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: La condotta di minaccia o intimidazione rivolta a singoli pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, anche se non integra il reato di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario di cui all'art. 338 c.p., può comunque configurare il reato di minaccia semplice o aggravata di cui all'art. 612 c.p. o di minaccia a pubblico ufficiale di cui all'art. 336 c.p., comma 2, qualora risulti idonea a incidere sulla libertà morale della persona offesa e a turbare il regolare svolgimento delle sue funzioni pubbliche. Ai fini della configurabilità di tali reati, non è necessario che la condotta dell'agente determini effettivamente uno stato di intimidazione nella vittima, essendo sufficiente che la stessa abbia astratta attitudine a intimorire, secondo un criterio di medialità che rispecchi le reazioni dell'uomo comune. La particolare capacità di resistenza della vittima non rileva, nemmeno quando si tratti di soggetti con compiti istituzionali che richiedano speciali doti di coraggio, in quanto la tutela della libertà morale è assicurata a tutti dalla norma incriminatrice. Tuttavia, per la riforma di una sentenza assolutoria, il giudice di appello deve dare conto del superamento del ragionevole dubbio, dimostrando l'insostenibilità logica della decisione impugnata.