Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 69 del 3 marzo 1995
ECLI:IT:CASS:1995:69PEN
Massima
Massima ufficiale
La revoca delle misure coercitive o interdittive di cui all'art. 299 c.p.p. trova il proprio presupposto nell'esigenza della perdurante legittimità della misura imposta, con conseguente costante ed aggiornato adeguamento dello status libertatis dell'indagato, o a seguito a «fatti... sopravvenuti» o ad eventuali modifiche della situazione processuale nonché dei presupposti o condizioni di legge, ovvero a fatti preesistenti e non conosciuti non valutati dal giudice, avendo riguardo sia ai fatti sopravvenuti, sia a quelli originari e coevi all'ordinanza impositiva. Sono invece da ritenere precluse le questioni dedotte nei procedimenti d'impugnazione, in forma sia esplicita che implicita. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che l'eventuale diversa valutazione, di impugnazioni proposte contro l'ordinanza cautelare non può essere affidato ad un potere di ripensamento affidato alla discrezionalità dell'organo, ma deve scaturire da ragioni di diritto che rendono non più giustificabile la misura imposta). In materia di misure cautelari personali, le esigenze cautelari di cui all'art. 274 c.p.p. hanno alla base una situazione di pericolo che deve essere concreto, cioè caratterizzarsi secondo effettività ed attualità. In altri termini, si deve trattare di prognosi di probabile accadimento della situazione di paventata compromissione di quelle esigenze di giustizia che la misura cautelare è diretta a salvaguardare. In particolare, per quanto riguarda l'ipotesi di cui alla lett. a) dell'art. 274, il «concreto pericolo» di inquinamento delle prove postula la sussistenza di inderogabili esigenze attinenti alle indagini. La predetta pericolosità non può desumersi apoditticamente dal ruolo che l'indagato riveste in un'organizzazione pubblica, o da condotte devianti per le indagini di non identificata provenienza.
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