Il reato di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) si configura quando la condotta dell'imputato, valutata in relazione a tempi, modi, circostanze ed effetti, risulti oggettivamente idonea ad opporsi all'atto o al servizio del pubblico ufficiale, unitamente alla consapevolezza e volontà di tale opposizione da parte dell'agente. Il giudice di merito è pertanto tenuto a una motivata, ancorché sintetica, valutazione della condotta dell'imputato al fine di verificare la sussistenza di tali elementi costitutivi del reato, senza poter invocare l'immediata declaratoria di cause di non punibilità ai sensi dell'art. 129 c.p.p. sulla base di una mera valutazione apodittica e avulsa dalle risultanze processuali. La semplice "divincolarsi con forza alla presa degli agenti di polizia giudiziaria" e il "darsi alla fuga" integrano gli estremi della violenza o minaccia richiesti per la configurazione del reato di resistenza a pubblico ufficiale, non potendosi ritenere mera "resistenza passiva".