Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 1425 del 8 febbraio 1994

ECLI:IT:CASS:1994:1425PEN

Massima

Massima ufficiale
In tema di delitto di frode nelle pubbliche forniture (art. 356 c.p.), non è automaticamente trasferibile sul piano del dolo la ricostruzione materiale di un'operazione oggettivamente ingannevole. Tuttavia, allorché, in simili casi, l'esecuzione del contratto sia opera di un imprenditore professionale, solo la riscoperta o l'allegazione di elementi ulteriori, che valgano a togliere significato indiziario all'oggettivo inadempimento, può indurre a valutare l'ipotesi del fatto colposo. Ciò in quanto le usuali regole di esperienza, che il giudice penale non può disconoscere, senza incorrere in un sostanziale rifiuto di giudizio, inducono a ritenere che, in presenza di adeguata preparazione professionale e normale diligenza esecutiva, l'esecuzione del contratto sia, nello stesso tempo, espressione della volontà e rappresentazione dell'evento da parte dell'imprenditore e dei suoi eventuali correi. Ai fini della configurabilità del delitto di frode nelle pubbliche forniture (art. 356 c.p.), non è necessario un comportamento fraudolento mediante l'uso di raggiri, essendo sufficiente la semplice mala fede nell'esecuzione del contratto, ravvisabile nella consegna di aliud pro alio, il che si verifica non solo quando la cosa sia materialmente diversa per genere o specie da quella pattuita, ma anche quando presenti difformità qualitative intrinseche, tali da renderla del tutto inidonea alla funzione economico-sociale del contratto, quale conosciuto e voluto dalle parti contraenti. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto che la consegna di carne parzialmente non commestibile, in quota comunque rilevante [20 per cento circa], in un contratto di somministrazione per alimentazione di bambini, realizza un'ipotesi di aliud pro alio).

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