Le prescrizioni in materia di distanze tra edifici, previste dall'art. 9 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, sono tassative ed inderogabili sia per i privati che per gli enti territoriali, in quanto volte non alla tutela di interessi privati, bensì alla salvaguardia di imprescindibili esigenze igienico-sanitarie. Pertanto, il diniego al rilascio del permesso di costruire, motivato dall'esistenza di una parete finestrata di un edificio a distanza inferiore a 10 metri dalla costruzione da realizzare, è legittimo anche in presenza di una dichiarazione di reciproco consenso alla deroga alle distanze da parte dei confinanti, in quanto le norme sulle distanze tra edifici non possono essere derogate per volontà dei privati. L'Amministrazione è tenuta a rispettare tali prescrizioni inderogabili, a tutela di interessi pubblici di carattere igienico-sanitario, senza possibilità di deroga per effetto di accordi tra privati. Il ricorso avverso il diniego di permesso di costruire, fondato sulla violazione delle distanze minime tra edifici, è pertanto da dichiararsi irricevibile per tardività ovvero, comunque, manifestamente infondato.