Il pubblico ufficiale che forma atti falsi, apparentemente provenienti da altri pubblici ufficiali, per attestare fatti e circostanze relativi al proprio rapporto di servizio con l'amministrazione di appartenenza, integra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico di cui all'art. 482 c.p., e non il meno grave reato di falsità in scrittura privata di cui all'art. 485 c.p., poiché tali atti, pur essendo destinati a produrre effetti solo nell'ambito del rapporto di lavoro, non si esauriscono nella mera attestazione della presenza in ufficio, ma sono diretti a integrare altri atti ufficiali relativi alle attività svolte dal pubblico ufficiale, con conseguente rilevanza esterna. La responsabilità dell'imputato può essere desunta dalla pluralità di atti falsi convergenti a provare una medesima circostanza, nonché dalla circostanza che gli stessi siano stati prodotti dall'imputato a sua difesa in un procedimento disciplinare a suo carico, senza che sia necessario il ricorso al criterio del "cui prodest".