Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: Il ricorso per revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione è ammesso esclusivamente per errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa, che consista nell'affermazione o supposizione dell'esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece, in modo indiscutibile, esclusa o accertata. Tale errore deve essere decisivo, nel senso che deve esistere un necessario nesso di causalità tra l'erronea supposizione e la decisione resa, deve presentare i caratteri dell'evidenza e dell'obiettività, e non deve cadere su un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata. L'interpretazione non solo letterale e sistematica, ma anche costituzionalmente e convenzionalmente orientata, dell'art. 391-bis e dell'art. 395, n. 4 c.p.c. porta a non ammettere la revocazione delle decisioni di legittimità della Corte di Cassazione per pretesi errori giuridici (sostanziali o processuali) oppure circostanziali, diversi dalla mera svista su fatti non resi oggetto di controversia, rispondendo la "non ulteriore impugnabilità in generale" all'esigenza, tutelata come primaria dalle stesse norme della Carta fondamentale della CEDU, di conseguire l'immutabilità e definitività della pronuncia all'esito di un sistema variamente strutturato. In particolare, non si configura un errore revocatorio nel giudizio espresso dalla Corte di Cassazione sulla violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.