Il provvedimento di interdittiva antimafia adottato dalla Prefettura nei confronti di una società costituisce una misura di prevenzione che incide direttamente sulla posizione giuridica della società stessa, quale destinataria dell'atto, essendo idonea a determinare la risoluzione dei contratti in corso e l'esclusione della società dagli appalti pubblici. Pertanto, solo la società, in quanto destinataria dell'atto, è legittimata a impugnare il provvedimento di interdittiva antimafia dinanzi al giudice amministrativo, in quanto titolare di un interesse legittimo alla tutela della propria sfera giuridica. Al contrario, gli amministratori e i soci della società, pur potendo subire pregiudizi indiretti dall'adozione del provvedimento, non sono titolari di una posizione di interesse legittimo che consenta loro di impugnare l'interdittiva antimafia, in quanto il loro rapporto con la società è estraneo alla relazione intersoggettiva tra destinatario dell'atto e pubblica amministrazione. Conseguentemente, l'atto di riassunzione del giudizio promosso dai soci della società fallita è inammissibile, in quanto essi non rivestono la qualità di "parte" nel processo amministrativo ai sensi dell'art. 80, comma 2, c.p.a. In assenza di riassunzione da parte della curatela fallimentare, il giudizio deve essere dichiarato estinto.