La Legge n. 241 del 2006, art. 1, comma 2, lett. d) esclude dall'applicazione dell'indulto tutti i reati, sia consumati che tentati, per i quali ricorra la circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 1991, n. 203 e successive modificazioni. Tale previsione normativa, volta a escludere dal beneficio indulgenziale i reati connotati dall'aggravante mafiosa in ragione del loro particolare disvalore penale e allarme sociale, si applica indistintamente sia ai delitti consumati che a quelli tentati, senza che rilevi l'autonomia concettuale tra le due fattispecie. Infatti, la valutazione di gravità che giustifica l'esclusione dall'indulto si estende anche al reato tentato, in quanto comunque espressione di una condotta antisociale meritevole di un trattamento sanzionatorio non suscettibile di estinzione per effetto di provvedimenti di clemenza. Tale interpretazione, fondata sul tenore letterale della norma e sulla ratio legis, risulta pienamente conforme ai principi costituzionali, in quanto prevede un trattamento differenziato per situazioni oggettivamente diverse in termini di allarme sociale e disvalore penale.