Il giudice di sorveglianza, nel valutare le istanze di misure alternative alla detenzione, deve accertare la sussistenza di concreti e tangibili segnali di ravvedimento e di volontà di riscatto da parte del condannato, nonché l'assenza di pericolosità sociale, desumibili da un effettivo percorso di revisione critica del proprio operato e di responsabilizzazione rispetto alla condotta delittuosa pregressa. Il mero dato formale della buona condotta e dell'inserimento sociale del condannato non è di per sé sufficiente a giustificare l'applicazione di tali benefici, laddove permangano elementi indicativi di una non compiuta interiorizzazione del disvalore del reato commesso e di una perdurante propensione a mantenere contatti con ambienti criminali, come nel caso di un soggetto che continui a fare uso di sostanze stupefacenti. In tali ipotesi, il giudice di sorveglianza può legittimamente negare l'affidamento in prova al servizio sociale e la detenzione domiciliare, in assenza di un progetto di reinserimento sociale concretamente idoneo a superare la residua pericolosità sociale del condannato.