Il diritto di critica, anche aspra e pungente, nei confronti di atti e provvedimenti di pubbliche amministrazioni e di soggetti che ricoprono cariche pubbliche, è pienamente legittimo e tutelato dall'ordinamento giuridico, purché non trasmodi in espressioni di incivile denigrazione o in attacchi personali volti a ledere la reputazione e l'onore del soggetto criticato. La critica deve pertanto mantenersi entro i limiti della continenza, senza eccedere in giudizi sommari o definitivi sulla persona, e deve essere diretta a censurare l'operato dell'ente o dell'amministrazione, non la condotta personale del singolo individuo, salvo che questa sia strettamente connessa all'esercizio della funzione pubblica. Pertanto, le dichiarazioni rese da un pubblico dipendente che stigmatizzano la decisione del datore di lavoro di reintegrare in servizio un altro dipendente condannato per gravi reati commessi nell'esercizio delle sue funzioni, senza formulare giudizi definitivi sulla persona di quest'ultimo, rientrano nell'ambito del legittimo esercizio del diritto di critica e non integrano gli estremi della diffamazione.