La liberta' di religione, tutelata dall'articolo 19 della Costituzione italiana, dall'articolo 9 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Liberta' Fondamentali e dall'articolo 10 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, comprende la liberta' di professare individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, la propria fede religiosa, incluso il diritto di riunirsi pacificamente per l'esercizio del culto. Tale liberta' non puo' essere limitata dallo Stato se non nei casi previsti dalla legge e ove tali limitazioni siano necessarie in una societa' democratica per la tutela di interessi pubblici come la sicurezza, l'ordine pubblico o la morale. Pertanto, il timore fondato di persecuzione per motivi religiosi, che legittima il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, sussiste anche quando lo straniero sia oggetto di gravi violazioni della propria liberta' religiosa da parte delle autorita' del Paese di origine, come l'irruzione della polizia nei luoghi di culto, il licenziamento dal lavoro, l'arresto di correligionari e la costrizione a vivere in clandestinita' per professare la propria fede, a prescindere dalla formale legalita' o meno del culto praticato nel Paese di origine. In tali casi, il giudice non puo' ragionevolmente pretendere che lo straniero, una volta rientrato nel Paese di origine, rinunci al pacifico esercizio della propria religione per evitare il rischio di ulteriori persecuzioni.