Il reato di associazione di tipo mafioso di cui all'art. 416-bis c.p. si configura quando un gruppo di persone si associa allo scopo di commettere più delitti, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, al fine di realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri. La prova della sussistenza dell'associazione mafiosa può desumersi da una pluralità di elementi fattuali, quali il ruolo e il contributo causale dei singoli partecipi, le modalità di partecipazione, l'esistenza di una cassa comune e di una forza intimidatrice attribuibile all'associazione stessa, senza che sia necessaria la dimostrazione del ruolo specifico svolto da ciascun sodale, potendo la partecipazione realizzarsi in forme diverse. Inoltre, le indicazioni di reità provenienti da conversazioni intercettate non sono soggette al canone di valutazione di cui all'art. 192, comma 3, c.p.p., ma sono liberamente apprezzabili dal giudice secondo il principio del prudente apprezzamento. Infine, la mancata assunzione di una prova proposta dalla difesa non costituisce vizio di motivazione se tale prova risulta superflua o sovrabbondante, essendo rimessa al giudice di merito la valutazione sulla sua decisività ai fini del giudizio.