Il reato di diffamazione commesso attraverso una comunicazione offensiva diretta a un unico interlocutore, senza che l'autore potesse prefigurarsi la possibilità che la stessa fosse percepita da altri, integra comunque il delitto di diffamazione, non essendo sufficiente a escludere la configurabilità del reato il fatto che la comunicazione non sia stata effettivamente portata a conoscenza di terzi. Inoltre, ai fini dell'applicabilità dell'esimente della provocazione prevista dall'art. 599, comma 2, c.p. per i reati di ingiuria e diffamazione, è necessario che la reazione dell'agente sia conseguenza di un fatto che per la sua intrinseca illegittimità o contrarietà alle norme del vivere civile abbia in sé la potenzialità di suscitare un giustificato turbamento nell'animo dell'agente, non essendo sufficiente una mera opinione erronea, ancorché ragionevole, sull'illiceità del fatto altrui. Infine, il giudice di merito gode di ampia discrezionalità nella valutazione della prova testimoniale, la cui motivata svalutazione non può essere censurata in sede di legittimità se non in presenza di vizi logici o manifesta irragionevolezza.