Il giudice di legittimità, nell'esercizio del controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza di merito, è tenuto a verificare la coerenza logica e la congruità argomentativa del percorso motivazionale seguito dal giudice di primo grado, senza poter sostituire la propria valutazione delle risultanze probatorie a quella compiuta dal giudice di merito, il quale gode di un ampio margine di discrezionalità nella valutazione della prova. Pertanto, il vizio di motivazione, deducibile ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., sussiste solo quando la motivazione risulti manifestamente illogica, contraddittoria o carente sotto il profilo della coerenza interna, senza che il giudice di legittimità possa sindacare la correttezza della valutazione probatoria effettuata dal giudice di merito. In tali ipotesi, il giudice di legittimità, anziché dichiarare l'inammissibilità del ricorso, è tenuto a convertire il ricorso in appello, ai sensi dell'art. 569, comma 3, c.p.p., al fine di consentire il riesame della decisione da parte del giudice di secondo grado.