La querela, quale manifestazione di volontà della persona offesa di perseguire penalmente l'autore del reato, non richiede l'utilizzo di formule sacramentali, essendo sufficiente che emerga in modo inequivoco tale intenzione, anche attraverso espressioni non esplicite ma comunque idonee a desumere tale volontà, come la richiesta di "far giustizia", la denuncia "ad ogni effetto di legge" o la riserva di costituirsi parte civile. Il giudice, nel valutare la sussistenza della querela, deve interpretare la volontà del querelante in conformità ai canoni logico-giuridici di ermeneutica, privilegiando un'interpretazione favorevole alla procedibilità dell'azione penale (favor querelae), in ossequio al principio di cui agli artt. 120 e 122 c.p. Pertanto, la declaratoria di "improcedibilità della querela" da parte del giudice, anziché di "inammissibilità" o "rigetto" della stessa, costituisce un'impropria qualificazione giuridica, atteso che le condizioni di procedibilità attengono all'azione penale e non alla querela in sé considerata.