Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 9320 del 5 settembre 1995
ECLI:IT:CASS:1995:9320PEN
Massima
Massima ufficiale
Le dichiarazioni rese da coimputati o da imputati di reato connesso o collegato nel corso delle indagini preliminari sono utilizzabili a fini di decisione, e non soltanto per le contestazioni a norma degli artt. 503, quarto comma, e 500, terzo comma, c.p.p. E ciò per il regime di utilizzazione delle dichiarazioni risultanti dalla sentenza costituzionale n. 255 del 1992, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità dell'art. 500, terzo e quarto comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni, delle dichiarazioni precedentemente rese e contenute nel fascicolo del pubblico ministero, nonché, ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità dell'art. 2, n. 76, nella legge-delega, nella parte in cui prevede il potere di allegare nel fascicolo processuale, tra gli atti utilizzati per le contestazioni, solo le sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell'immediatezza del fatto e non anche le dichiarazioni precedentemente rese da testimoni e contenute nel fascicolo del pubblico ministero; senza contare la «novellazione» apportata al testo dell'art. 500 dall'art. 7 del decreto legge n. 306 del 1992 e, soprattutto, al quarto, quinto e sesto comma di tale articolo, ove è previsto un complesso regime di utilizzazione a fini di prova delle dichiarazioni di cui le parti si sono servite per le contestazioni. Inoltre, a norma dell'art. 513 c.p.p., quale risultante a seguito della già ricordata sentenza costituzionale n. 254 del 1992, l'ipotesi del coimputato che rifiuti di rendere dichiarazioni è stata inserita nel sistema speciale disciplinato dall'art. 513, primo comma, c.p.p., che concerne il potere del giudice di disporre la lettura (a cui consegue l'allegazione al fascicolo per il dibattimento, ex art. 515 c.p.p.) delle dichiarazioni rese fuori del dibattimento dai soggetti indicati dall'art. 210 c.p.p. Poiché, poi, come ha osservato la Corte costituzionale nella sentenza adesso ricordata, la disciplina risultante dalla parziale dichiarazione d'illegittimità implica che gli imputati in procedimento connesso «hanno la possibilità di sottrarsi, in tutto o in parte, all'esame, così determinando, nel caso in cui avessero reso precedenti dichiarazioni, quel tipo di situazione che lo stesso legislatore delegato ha inteso qualificare come un'ipotesi di impossibilità sopravvenuta dell'atto», il regime di utilizzazione degli atti è quello predisposto dagli artt. 238 e 511 bis e non quello enucleato dagli artt. 500 e 503, con conseguente utilizzabilità di tali atti a fini di prova, a norma dell'art. 526, primo comma, c.p.p. (v. Corte cost., sentenza n. 254 e 255 del 1992). Per la sussistenza del reato associativo, l'accordo (coessenzialmente aperto) è destinato a costituire una struttura permanente ove i singoli associati divengono - ciascuno dell'ambito dei compiti assunti o affidati - parti di un tutto finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti, che, relativamente alla figura di reato contemplata dall'art. 74 del D.P.R. n. 309 del 1990, sono della stessa specie, preordinati, cioè, alla cessione o al traffico di sostanze stupefacenti. È la struttura, anche rudimentale, del sodalizio che designa la figura associativa così da caratterizzarla, per la necessaria predisposizione del programma criminoso, di dati di assoluta singolarità e da rendere, in fondo, ininfluente l'inserimento del reato di associazione per delinquere nella categoria dei reati a concorso necessario, altri risultando gli elementi decisivi ai fini della identificazione dell'essenza stessa di tale reato. Diviene, allora, predominante il profilo teleologico: il particolare allarme sociale derivante dalla struttura giustifica, infatti, la previsione di un'autonoma figura di reato contrassegnata, sul piano delle finalità repressive perseguite dall'ordinamento, dal pericolo per l'ordine pubblico per il cui concretizzarsi la legge non richiede, a differenza di quanto accade per l'accordo che si inserisca quale momento cruciale del reato meramente plurisoggettivo, che i delitti per la commissione dei quali la societas sceleris è stata costituita vengano effettivamente realizzati. Pure se l'accordo può costituire elemento comune sia al concorso di persone nel reato sia all'associazione per delinquere, i due fenomeni restano caratterizzati da aspetti strutturali e teleologici profondamente differenziati. Dal primo punto di vista, l'accordo che designa la fattispecie plurisoggettiva semplice (sia essa necessaria ovvero eventuale) è funzionale alla realizzazione di uno o più reati, consumati i quali l'accordo si esaurisce o si dissolve. Del resto, l'accordo, in tanto diviene rilevante nei confini della mera ipotesi concorsuale in quanto pervenga ad una concreta realizzazione dell'assetto divisato, ad un'attività esecutiva, dunque, che non si arresti alle soglie del tentativo. Di conseguenza, il mero accordo allo scopo di commettere un reato, non traducendosi in un'attività di partecipazione al reato stesso resta assoggettato al principio di ordine generale stabilito dall'art. 115 c.p. A tale regola il primo comma dell'art. 115 enuncia un'espressa eccezione ma sempre relativa all'ipotesi in cui «due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato e questo non sia commesso»; cosicché i criteri interpretativi destinati a risolvere le (solo apparenti) antinomie tra accordo non punibile e reato associativo non possono essere compiutamente individuati chiamando in causa il solo principio di specialità. E ciò per la mancanza di un vero e proprio rapporto di genere a specie, postulando il reato associativo una base plurisoggettiva qualificata, non richiesta, invece, nell'ipotesi di accordo. Una constatazione che vale anche ai fini della distinzione tra fattispecie meramente concorsuale e fattispecie associativa, rappresentando il minimum soggettivo richiesto dalla legge relativamente alla seconda categoria di reati un dato non richiesto, invece, per l'attività di mera partecipazione, così da consentire l'utilizzazione del medesimo criterio interpretativo pure - quel che più interessa - nel discriminare le categorie ora ricordate. (Fattispecie di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti).
Sentenze simili
Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 144 del 11 aprile 1996
ECLI:IT:CASS:1996:144PENDalla complessa normativa risultante dagli artt. 238 e 511 bis c.p.p., si desume che le dichiarazioni rese dall'imputato in diverso procedimento penale, al di fuori dell'incidente probatorio o del di…
Cassazione penale Sez. II sentenza n. 7519 del 31 luglio 1993
ECLI:IT:CASS:1993:7519PENLe modifiche normative apportate all'art. 500 cod. proc. pen. dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 che ha convertito il D.L. 8 giugno 1992, n. 306 pur consentendo il recupero di atti precedentemente com…
Cassazione penale Sez. IV sentenza n. 16859 del 9 aprile 2004
ECLI:IT:CASS:2004:16859PENNel giudizio di appello, le dichiarazioni rese, in fase di indagini preliminari, da coimputati o imputati di reato connesso ed inserite nel fascicolo del dibattimento nel giudizio di primo grado (cel…
Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 9822 del 13 ottobre 1992
ECLI:IT:CASS:1992:9822PENLa posizione dell'imputato in un procedimento connesso o collegato è quella propria di una parte materiale e sostanziale del processo ed è assimilata a quella dell'imputato, onde l'audizione dibattim…
Cassazione penale Sez. III sentenza n. 3686 del 25 marzo 1998
ECLI:IT:CASS:1998:3686PENIl regime di valutabilità delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni è diverso per il testimone e per l'imputato in procedimento connesso, solo le prime potendo valere, in presenza degli opp…
Cassazione penale Sez. I sentenza n. 10271 del 30 novembre 1996
ECLI:IT:CASS:1996:10271PENAi sensi del secondo comma dell`art. 500 cod. proc. pen., le dichiarazioni rese dal teste in sede di indagini preliminari possono formare oggetto di contestazione ed essere allegate al fascicolo del …
Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 107 del 27 marzo 1993
ECLI:IT:CASS:1993:107PENLe dichiarazioni accusatorie, spontaneamente rese da un indagato a norma dell'art. 350, comma settimo, c.p.p., raccolte dalla polizia giudiziaria ma non documentate in verbale (né per esteso né riass…
Cassazione penale Sez. IV sentenza n. 45010 del 3 dicembre 2008
ECLI:IT:CASS:2008:45010PENIl giudice di legittimità, nell'interpretare le norme processuali introdotte dalla Legge n. 63 del 2001 in materia di utilizzabilità delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari, aff…
Cassazione penale Sez. IV sentenza n. 11626 del 13 novembre 2000
ECLI:IT:CASS:2000:11626PENLa regola stabilita dall'art. 111 della Costituzione, nel testo novellato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2, secondo cui le dichiarazioni accusatorie possono costituire valida prova a …
Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 31658 del 2 agosto 2007
ECLI:IT:CASS:2007:31658PENLa massima giuridica che si può trarre dalla sentenza è la seguente:
Il giudice può utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni rese prima del dibattimento da persone indicate nell'art. 21…
Ricerca rapida tra milioni di sentenze
Trova facilmente ciò che stai cercando in pochi istanti. La nostra vasta banca dati è costantemente aggiornata e ti consente di effettuare ricerche veloci e precise.
Trova il riferimento esatto della sentenza
Addio a filtri di ricerca complicati e interfacce difficili da navigare. Utilizza una singola barra di ricerca per trovare precisamente ciò che ti serve all'interno delle sentenze.
Prova il potente motore semantico
La ricerca semantica tiene conto del significato implicito delle parole, del contesto e delle relazioni tra i concetti per fornire risultati più accurati e pertinenti.
Un nuovo modo di esercitare la professione
Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.