Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 10670 del 10 marzo 2009

ECLI:IT:CASS:2009:10670PEN

Massima

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Il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando della propria qualità e posizione, costringe o induce gli amministrati a promettere o consegnare indebitamente somme di denaro, al fine di ottenere vantaggi o benefici nell'ambito delle proprie funzioni, commette il reato di concussione, a prescindere dalla natura giuridica pubblica o privata dell'ente presso cui presta servizio, purché tale ente persegua finalità di pubblico interesse e sia sottoposto a poteri di indirizzo e controllo da parte della pubblica amministrazione. La qualifica di incaricato di pubblico servizio sussiste quando l'ente, pur avendo forma giuridica privata, svolge attività di pubblico interesse sotto il controllo e l'indirizzo della pubblica amministrazione, a prescindere dalla partecipazione pubblica nel capitale sociale. Ciò comporta l'applicabilità della disciplina penale prevista per i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio, tra cui il reato di concussione, anche a soggetti che operano presso enti privati ma che, per la natura delle funzioni svolte e dei poteri esercitati, rivestono una posizione qualificata nei confronti della pubblica amministrazione e degli amministrati. L'elemento materiale del reato di concussione sussiste anche quando le somme di denaro richieste agli amministrati, pur essendo giustificate dalla carenza di fondi dell'ente, derivano da indebite pressioni e minacce da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, il quale abusa della propria posizione per ottenere vantaggi personali o per l'ente presso cui opera. In tali casi, la volontarietà della prestazione da parte degli amministrati non esclude la configurabilità del reato, in quanto la concussione si realizza anche attraverso l'induzione, oltre che la costrizione. Ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari, il fatto che il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio abbia cessato il proprio incarico non è di per sé sufficiente a escludere il pericolo di reiterazione del reato, dovendo il giudice valutare concretamente la persistenza di tale pericolo sulla base di tutti gli elementi emersi nel corso delle indagini.

Sentenza completa

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AGRO' Antonio S. - Presidente

Dott. IPPOLITO Francesco - Consigliere

Dott. CONTI Giovanni - Consigliere

Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere

Dott. FIDELBO Giorgio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

DI. GL. Le., n. a (OMESSO);

avverso la ordinanza in data 3-7 luglio 2008 del Tribunale di Palermo;

Visti gli atti, la ordinanza denunziata. e il ricorso;

Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ((omissis));

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ((omissis)), che ha concluso perii rigetto del ricorso.

FATTO E DIRITTO

Con la or…

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