Cassazione penale Sez. V sentenza n. 623 del 23 gennaio 2001

ECLI:IT:CASS:2001:623PEN

Massima

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Il comportamento di abuso di potere e di posizione dominante da parte di un superiore gerarchico nei confronti di un proprio sottoposto, consistente in atti di molestia e di minaccia per impedire la denuncia di precedenti atti di libidine, pur non integrando gli estremi del reato di violenza sessuale, costituisce comunque una grave lesione della dignità e dell'integrità morale della vittima, in violazione dei doveri di correttezza e di rispetto che devono improntare i rapporti di lavoro, e giustifica pertanto l'applicazione di adeguate sanzioni disciplinari e risarcitorie, anche in assenza della prova di un intento propriamente libidinoso dell'agente. Il principio di diritto che emerge dalla sentenza è che l'abuso della posizione di potere e di autorità da parte di un superiore gerarchico nei confronti di un sottoposto, anche in assenza di una finalità sessuale diretta, integra comunque una condotta illecita e sanzionabile, in quanto lesiva della dignità e dei diritti della persona offesa, in particolare quando tale abuso si concretizza in atti di molestia e di minaccia finalizzati a impedire la denuncia di precedenti comportamenti inappropriati. La pronuncia di assoluzione per mancanza dell'elemento soggettivo del reato non esclude pertanto la rilevanza disciplinare e risarcitoria della condotta, in considerazione della gravità oggettiva della stessa e dell'abuso della posizione di potere. La massima sottolinea come, anche in assenza di una finalità sessuale diretta, l'abuso di potere e di autorità da parte di un superiore gerarchico nei confronti di un sottoposto integri comunque una condotta illecita e sanzionabile, in quanto lesiva della dignità e dei diritti della persona offesa.

Sentenza completa

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 6.4.1994 il Tribunale di Venezia affermava la penale responsabilità di M. E., imputato: a) del reato di cui all'art. 521, 61 n. 9 c. p., perché abusando delle sue funzioni di amministratore straordinario della USSL n. 15 Basso Piave e pertanto superiore gerarchico di D. R. A., il 10.3.1993, in S. Donà di Piave, compiva sulla predetta atti di libidine diversi dalla congiunzione carnale, consistiti nel palpeggiare il sedere della vittima contro la sua volontà; b) del reato di cui agli artt. 56, 610 comma primo, 61 n. 9 e n. 11 c. p., perché nei giorni successivi al 10.3.1993, minacciando ripetutamente a D. R. A. un ingiusto danno e problemi alla sua carriera, valendosi delle sue funzioni e delle influenti amicizie presso detta USSL, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a convincere la donna a non denunciarlo per gli atti di libidine di cui al capo che precede.
Il Tribunale, riconosciute al M. le generiche attenuanti…

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