Il diritto di difesa in giudizio non legittima l'utilizzo di espressioni offensive nei confronti del legale avversario, se tali espressioni non presentano un nesso di diretta e immediata pertinenza con l'oggetto della controversia. Pertanto, l'esimente della scriminante di cui all'art. 598 c.p. (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere) non può essere invocata qualora le espressioni denigratorie si riferiscano a condotte pregresse del legale avversario, estranee al giudizio in corso, come la sua abitudine a proporre azioni giudiziarie ritenute temerarie al solo scopo di lucrare elevati compensi. Analogamente, l'esimente della provocazione di cui all'art. 599 c.p. non può trovare applicazione nell'ipotesi in cui l'esercizio del diritto di azione, ancorché ritenuto infondato, non possa essere qualificato come un comportamento ingiusto, e il tempo trascorso tra la notifica dell'atto introduttivo e il deposito della comparsa di risposta abbia consentito all'avvocato di superare l'originario disappunto e di mantenere la necessaria serenità nell'esercizio della professione forense. Infine, l'errore di diritto, e non la falsa rappresentazione di fatto, esclude la configurabilità della scriminante putativa.