Il delitto di truffa si distingue dal delitto di insolvenza fraudolenta in quanto nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell'insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell'agente. Pertanto, quando la condotta dell'imputato, come ricostruita dai giudici di merito, è caratterizzata da artifici e raggiri consistiti nel rassicurare la parte offesa circa la bontà di assegni consegnati in pagamento, poi risultati impagabili, tale condotta deve essere ricondotta nell'ambito del delitto di truffa e non in quello di insolvenza fraudolenta. I motivi di ricorso che si risolvono nella mera reiterazione di censure già articolate in appello e motivatamente disattese dalla Corte territoriale, senza allegare specifici vizi logici o travisamenti del fatto, sono inammissibili, in quanto non idonei ad assolvere la funzione tipica di critica puntuale della sentenza impugnata. Inoltre, il rilievo non sottoposto al vaglio del giudice di appello è precluso in sede di legittimità ai sensi dell'art. 609 c.p.p., comma 2.