Cassazione penale Sez. IV sentenza n. 2968 del 23 febbraio 1989
ECLI:IT:CASS:1989:2968PEN
Massima
Massima ufficiale
In tema di esercizio dell'azione civile nel giudizio penale, vige la regola, dettata dall'art. 23 del codice di procedura penale, in forza della quale il potere del giudice penale di pronunciarsi sugli interessi civili cessa ogni qualvolta (in qualsiasi grado del giudizio) l'imputato sia assolto, ovvero sia dichiarata la improcedibilità dell'azione penale per avvenuta estinzione del reato. A tale regola è fatta eccezione, e pertanto permane la giurisdizione penale, sia nel caso di declaratoria, in fase d'impugnazione, di estinzione del reato per sopravvenuta amnistia, per effetto della norma eccezionale di cui all'art. 12 legge n. 405/1978, sia nel caso di esercizio della facoltà, riconosciuta alla parte civile, di ricorrere per cassazione avverso le disposizioni della sentenza (penale) che concernono i suoi interessi civili, a seguito della declaratoria di parziale incostituzionalità del predetto art. 23 cod. proc. pen., da parte della corte costituzionale (sentenze nn. 1/1970 e 29/1972). Ne consegue che, nel caso di declaratoria di estinzione del reato per effetto di prescrizione (e di ogni altra causa diversa dall'amnistia), il giudice penale non ha poteri decisori sugli interessi civili; e ciò neppure ove la causa di estinzione venga acclarata a seguito di più favorevole giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto (con la individuazione di un termine più breve tra quelli previsti dall'art. 157 cod. proc. pen.), stante la natura dichiarativa - comunque - della pronuncia in questione rispetto all'evento estintivo, quando sulla riconfigurazione del reato non abbia svolto alcuna influenza l'entità del danno civilistico. (Fattispecie di sentenza con la quale la corte del merito, concessa la prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, ritenne estinto il reato per effetto di prescrizione (stante il minor tempo necessario al verificarsi dell'evento estintivo rispetto alla fattispecie delineata dal giudice di primo grado), e quantificò nel 30 per cento la misura del risarcimento dovuto dall'imputato, nella considerazione che il 70 per cento era addebitabile alla condotta di terzi. La corte di legittimità, a conclusione delle osservazioni in diritto sopra massimate, ha ritenuto illegittima la quantificazione della misura del danno risarcibile operata in dispositivo, anche sul rilievo della ininfluenza, di tale determinazione, ai fini della esatta identificazione del reato in giudizio).
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