Cassazione penale Sez. V sentenza n. 12153 del 28 marzo 2002

ECLI:IT:CASS:2002:12153PEN

Massima

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Il reato di ingiuria verbale richiede che le espressioni utilizzate siano obiettivamente offensive e lesive dell'onore o del decoro della persona offesa, tenuto conto del contesto fattuale, della personalità delle parti e delle circostanze in cui si verifica il fatto. Ove le parole pronunciate non contengano una carica ingiuriosa oggettiva, ma si limitino a constatare un fatto vero, senza alcuna prova della consapevolezza e volontà di arrecare offesa all'altrui patrimonio morale, non sussiste il reato di ingiuria. Pertanto, la mera constatazione della mancanza di un oggetto prezioso, senza alcuna espressione offensiva, non integra il reato di ingiuria, in assenza di prova dell'elemento soggettivo del dolo. La motivazione del giudice deve approfondire l'analisi dell'elemento psicologico, non potendosi limitare alla semplice constatazione della pronuncia di una frase ritenuta offensiva.

Sentenza completa

Il giudice del tribunale di Vasto, in composizione monocratica, con sentenza resa all'udienza pubblica del 4.10.2000, dichiarava M. R., colpevole del reato di cui all'art. 594 c.p., per avere, in presenza di più persone, offeso l'onore di R. A., dicendogli che aveva sottratto un braccialetto in quelli messi a sua disposizione per esaminarli e decidere sull'acquisto e la condannava alla pena di lire 500.000 di multa. Spese. Risarcimento dei danni e rimborso delle spese a favore della parte civile.
Ricorre per cassazione il difensore dell'imputata deducendo che nessuna offesa era stata rivolta al R. A.; che eventualmente le parole ritenute offensive erano state rivolte alla moglie; che, quindi, non era legittimato a proporre querela; che doveva in ogni caso riconoscersi la buona fede dell'imputata che si era limitata a far rilevare la mancanza del braccialetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso merita accoglimento.
La sentenza di primo grado …

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