Il falso in dichiarazioni sull'identità personale, pur commesso per il timore di espulsione, integra il reato di cui all'art. 495 c.p. e non consente l'applicazione di circostanze attenuanti generiche, in assenza di ulteriori elementi di segno positivo, atteso che il mero dato della giovane età e l'esistenza di precedenti penali risalenti non sono sufficienti a giustificare una valutazione favorevole, specie ove l'imputato abbia riportato una nuova condanna nel corso del giudizio di appello. Il dolo del reato di cui all'art. 495 c.p. è integrato dalla consapevolezza e volontarietà della falsa dichiarazione, a prescindere dalle motivazioni soggettive che hanno indotto l'imputato a fornire generalità inveritiere, non potendo tali ragioni escludere la sussistenza dell'elemento psicologico del reato. La Corte di Cassazione, nel confermare la decisione di merito, ha ritenuto che le giustificazioni addotte dall'imputato, volte a escludere il dolo, fossero irrilevanti a fronte del quadro probatorio oggettivo e documentale della falsità della dichiarazione, non potendo il timore di espulsione, pur comprensibile, escludere la consapevolezza e volontarietà della condotta.