La cessione di quote o azioni di una società di capitali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale, che attribuisce al titolare diritti amministrativi e patrimoniali da esercitare nella società. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale e, di conseguenza, alla consistenza economica della partecipazione, possono giustificare la risoluzione del contratto di cessione o la riduzione del prezzo pattuito solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali. Tuttavia, il principio di buona fede può imporre al cedente l'obbligo di dichiarare all'acquirente l'esistenza di vincoli o limitazioni sulla disponibilità dei beni sociali, qualora tali elementi incidano in modo rilevante sulla solidità economica e sulla produttività della società, e quindi sul valore delle quote o azioni cedute. In tal caso, l'omissione di tali informazioni da parte del cedente costituisce grave inadempimento contrattuale, legittimando la risoluzione del contratto e la restituzione della caparra confirmatoria, nonché l'eventuale risarcimento del danno. Inoltre, la domanda di accertamento della legittimità del recesso e di condanna al pagamento del doppio della caparra confirmatoria, avanzata dalla parte che in primo grado aveva chiesto la risoluzione per inadempimento del medesimo contratto ed il risarcimento dei danni, non costituisce una domanda nuova inammissibile in appello.