Cassazione penale Sez. I sentenza n. 2207 del 3 marzo 1995

ECLI:IT:CASS:1995:2207PEN

Massima

Massima ufficiale
In tema di reati di falso, dalla categoria degli atti pubblici — cioè di quegli atti provenienti da coloro ai quali la legge attribuisce pubbliche funzioni, redatti nell'esercizio di tali attribuzioni e destinati, sin dall'origine, a far prova nei rapporti giuridici — vanno distinti i certificati e le autorizzazioni amministrative, per i quali il legislatore ha previsto, in caso di falsificazione, autonome figure di reato. In particolare, i certificati sono atti che, pur provenendo da pubblici funzionari e pur essendo destinati anch'essi alla prova, o hanno natura di documenti «secondari» o «derivati», perché contengono dichiarazioni di scienza (cioè l'attestazione di fatti e dati che sono noti al pubblico ufficiale in quanto provengono da altri documenti ufficiali o dalle sue conoscenze tecniche), ovvero implicano giudizi e valutazioni che, come tali, non possono essere oggetto di documentazione fidefaciente. Le autorizzazioni amministrative, invece, sono atti che documentano quei negozi di diritto pubblico i quali rimuovono, temporaneamente o permanentemente, i limiti imposti dalla legge all'esercizio di un diritto soggettivo o a determinate attività dei singoli. (Fattispecie relativa a certificato rilasciato da medico convenzionato con Usl, riconosciuto titolare di pubbliche funzioni nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, sia pure in virtù di negozio di natura privatistica. Tale certificato riveste qualità di atto pubblico per quelle parti concernenti la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato e le attestazioni relative all'attività svolta — visita medica — nonché ai fatti avvenuti in sua presenza — presentazione del paziente — o da lui rilevati — eventuali sintomi — ma non anche per la parte relativa al giudizio diagnostico e prognostico, che ha natura di certificato, sia perché è basato sulle conoscenze scientifiche del pubblico ufficiale, sia perché costituisce una valutazione dei fatti accertati, insuscettibile di documentazione fidefaciente. Alla stregua di queste considerazioni, la Suprema Corte ha ritenuto che l'eventuale falsità della diagnosi medica è sussumibile nella figura di reato di cui all'art. 480 c.p. e non in quella di cui all'art. 479 stesso codice).

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