Il reato di lesioni personali volontarie è configurabile quando l'agente, pur non avendo inteso cagionare un danno alla vittima, ha posto in essere una condotta consapevolmente diretta a provocare un evento lesivo, prevedibile e preveduto, che si è poi effettivamente verificato. La valutazione della gravità del fatto e della sua particolare tenuità, ai fini dell'applicabilità dell'art. 131-bis c.p., deve essere effettuata con riferimento ai criteri di cui all'art. 133 c.p., senza che sia necessaria l'esplicita disamina di tutti gli elementi ivi indicati, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti dal giudice di merito. La legittima difesa, quale causa di giustificazione, presuppone la sussistenza di un'aggressione attuale e ingiusta, tale da determinare nell'agente un ragionevole e proporzionato timore per la propria incolumità, che lo induca a reagire con una condotta necessaria e proporzionata a respingere l'offesa. Tali condizioni non ricorrono quando l'imputato, sorpreso in una situazione di intimità con la cognata, abbia posto in essere una manovra di allontanamento della vittima, consapevole delle conseguenze lesive che ne sarebbero derivate.