Il potere di autotutela amministrativa, consistente nella possibilità di riesaminare e, se del caso, di annullare o modificare d'ufficio i propri provvedimenti, è espressione della discrezionalità della pubblica amministrazione nella cura dell'interesse pubblico, sicché l'amministrazione non ha l'obbligo di pronunciarsi in maniera esplicita su un'istanza diretta a sollecitarne l'esercizio. Tale potere è, pertanto, incoercibile dall'esterno attraverso l'istituto del silenzio-inadempimento, salvo che non emergano specifici elementi di "novità" che giustifichino un'affermazione di doverosità dell'adozione di un provvedimento, come nel caso di particolari sopravvenienze di fatto in caso di richiesta di revoca, o dell'intervenuta pronuncia di incostituzionalità di una norma incidente sull'esercizio del potere fondante il provvedimento da "riesaminare". Tali elementi devono essere allegati e provati da chi intende esperire l'azione contro il silenzio e far valere, quindi, la doverosità dell'esercizio del potere di autotutela. In assenza di tali elementi, il ricorso per silenzio-inadempimento avverso il mancato esercizio del potere di autotutela è inammissibile, in quanto l'amministrazione non ha l'obbligo di pronunciarsi sull'istanza di riesame. Inoltre, qualora il provvedimento contestato abbia un contenuto meramente programmatico e non risulti l'effettiva adozione di atti applicativi lesivi, non può ritenersi sussistente l'obbligo di provvedere in autotutela, in quanto non è dato avere contezza della effettiva cogenza di tale documento di indirizzo.