Cassazione penale Sez. V sentenza n. 27619 del 19 luglio 2002

ECLI:IT:CASS:2002:27619PEN

Massima

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Il diritto di cronaca, quale aspetto essenziale del più ampio diritto di libertà di manifestazione del pensiero garantito dalla Costituzione, si configura come causa di giustificazione del reato di diffamazione a mezzo stampa, ma è subordinato al rispetto di specifici limiti, quali la verità del fatto narrato, l'interesse pubblico alla sua conoscenza (pertinenza) e la correttezza (continenza) con cui il fatto viene riferito. Pertanto, affinché possa operare tale causa di giustificazione, è necessario che vi sia una correlazione oggettiva tra il narrato e l'effettivo accaduto, con un assoluto rispetto della verità dei fatti riportati, senza introdurre elementi aggiuntivi o deformanti. Inoltre, anche le notizie acquisite da altre fonti informative devono essere sottoposte a un puntuale controllo di attendibilità da parte del giornalista, non potendo egli limitarsi a un mero affidamento sulla presunta veridicità delle stesse. Nell'ambito specifico dell'esercizio del diritto di cronaca in materia giudiziaria, il limite della verità del fatto narrato deve trovare un riscontro fenomenologico nella realtà obiettiva, riferendo fatti e situazioni effettivamente accaduti nell'attività giudiziaria, riportando correttamente affermazioni e giudizi espressi da imputati, testimoni o indagati. Pertanto, il giornalista, nel ricoprire il ruolo di intermediario tra il fatto e l'opinione pubblica, deve rispettare il diritto-dovere di informare e, al contempo, il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati, senza dare corso a intenti denigratori o a espressioni obiettivamente offensive della reputazione altrui, anche qualora si tratti di persone note per il loro impegno a favore di cause meritevoli di tutela. Infine, la mancanza di buona fede da parte del giornalista, come dimostrata dalla mancata rettifica di notizie risalenti nel tempo e rivelate come false, esclude l'operatività della scriminante del diritto di cronaca, anche sotto il profilo putativo.

Sentenza completa

FATTO
P. A. e F. V., venivano tratti a giudizio avanti il tribunale di Monza per rispondere, l'una, del reato di cui agli artt. 595.1.3 c.p., per avere quale autrice dell'articolo pubblicato su "IL GIORNALE" del 11.12.1994, con il titolo "Deportati e venduti per la vivisezione", offeso la reputazione di C. D. V. e, l'altro, del reato di cui agli artt. 57 c.p., in relazione all'art. 595.1.3 c.p., nella sua qualità di direttore responsabile, omesso di esercitare il controllo necessario ad impedire che venisse commesso il reato sub A.
Il tribunale dichiarava gli imputati responsabili dei reati loro ascritti e, concesse le attenuanti generiche, prevalenti sulle contestate aggravanti, condannava P. alla pena di L. 300.000 di multa e F. alla pena di L. 200.000 di multa. Spese.
Condannava, inoltre, gli imputati al risarcimento dei danni a favore della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio. Concedeva una provvisionale immediatamen…

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