Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: Le disposizioni normative che regolano l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione hanno natura processuale e non sostanziale, pertanto sono soggette al principio tempus regit actum, in base al quale l'atto processuale è disciplinato dalla legge in vigore al momento in cui esso è compiuto, senza che possano trovare applicazione retroattiva le modifiche legislative successive. Ciò vale anche per il divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione della pena previsto dall'art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., introdotto dalla L. n. 3/2019, che non può essere applicato ai procedimenti in cui l'ordine di esecuzione e la richiesta di misure alternative siano stati adottati prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina, in quanto ciò comporterebbe una trasformazione peggiorativa della natura e della concreta incidenza della pena sulla libertà personale del condannato, in violazione del divieto di applicazione retroattiva di norme sfavorevoli sancito dall'art. 25 Cost. e dall'art. 7 CEDU.