Il dolo nel reato di false dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (art. 496 c.p.) può essere desunto dalla reiterazione della falsa indicazione di residenza e dalla parziale inesattezza della data di nascita fornite dal soggetto agente, anche in assenza di una pregressa conoscenza dello stesso da parte dei pubblici ufficiali richiedenti, atteso che tali elementi convergenti sono idonei a dimostrare la consapevolezza e volontarietà della condotta mendace. Ai fini della valutazione della particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p., la Corte di merito può legittimamente escludere tale causa di non punibilità sulla base dell'intensità del dolo e delle modalità della condotta, senza che ciò comporti un inammissibile apprezzamento di merito in sede di legittimità, ove la motivazione risulti congrua e logica. Infatti, la mera limitata divergenza tra i dati falsi forniti e quelli reali, nonché l'assenza di violenza o di un'irriguardosa opposizione nei confronti del pubblico ufficiale, non valgono di per sé a integrare la particolare tenuità dell'offesa, dovendo il giudice valutare complessivamente la gravità della condotta, con specifico riferimento all'elemento soggettivo e alle modalità della stessa, ai sensi dell'art. 131-bis c.p.