La partecipazione ad un'associazione di tipo mafioso, reato permanente che può non essere considerato solo in caso di reale recesso dal consorzio dell'associato, comporta una presunzione relativa di pericolosità sociale che determina la necessità, non già di dar conto della ricorrenza dei "pericula libertatis", ma solo di apprezzarne le ragioni di esclusione, ove queste siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti, tra le quali può rilevare il c.d. tempo silente, che deve essere parametrato alla gravità della condotta ed alla rescissione dei legami con il sodalizio di appartenenza, che ha comunque valore risolutivo nella esclusione della sussistenza delle esigenze cautelari. Tuttavia, il giudice non ha l'onere di argomentare in positivo circa la sussistenza o la permanenza delle esigenze cautelari, essendo sufficiente il semplice riferimento alla mancanza di elementi positivamente valutabili nel senso di un'attenuazione delle esigenze di prevenzione, salvo che la difesa non alleghi in modo obiettivo e concreto l'effettivo e irreversibile allontanamento dell'indagato dal gruppo criminale, tale da dimostrare la mancanza di esigenze cautelari. In presenza di una condanna di primo grado per il reato di associazione mafiosa, la decisione cautelare non può porsi in contrasto con il contenuto della sentenza, stante la relazione di strumentalità esistente tra il procedimento incidentale e quello principale, salvo che risultino dedotti elementi di prova nuovi, suscettibili di dare ingresso ad una possibile diversa lettura degli indizi al momento dell'adozione della misura cautelare.