Il contratto di concessione amministrativa di un bene pubblico, anche se destinato in parte all'esercizio di attività socio-culturali, è legittimamente configurabile quando l'assegnazione del bene risponde non solo alle esigenze del concessionario di perseguire i propri scopi, ma anche alle esigenze dell'amministrazione concedente di assicurare la fruibilità di determinati servizi da parte della collettività. In tali ipotesi, il ricorso all'istituto della concessione è pienamente giustificato, anche in presenza di finalità in parte coincidenti tra il concessionario e l'ente pubblico, non essendo sufficiente a far ritenere l'esistenza di un contratto di locazione il mero fatto che l'amministrazione abbia comunicato la volontà di non rinnovare la concessione alla sua scadenza. Pertanto, la qualificazione del rapporto come concessione amministrativa e non come locazione privata esclude l'applicabilità della disciplina dettata dalla legge n. 392/1978 in materia di locazioni, con conseguente inammissibilità delle relative censure. Inoltre, gli eventuali atti di revoca della concessione, se adottati, avrebbero dovuto essere tempestivamente impugnati per incompetenza entro il termine di decadenza di 60 giorni dalla loro adozione.