Il pericolo di reiterazione del reato, quale presupposto per l'applicazione della custodia cautelare in carcere, deve essere valutato dal giudice in maniera prognostica, tenendo conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità dell'indagato e del contesto socio-ambientale, senza che sia necessaria la previsione di specifiche occasioni di recidivanza. In particolare, nel caso di reati associativi, la presunzione di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p. consente di ritenere sussistente l'attualità del pericolo di reiterazione in ragione del ruolo rivestito dall'indagato e della continuità e professionalità dimostrata nello svolgimento dell'attività delittuosa. Inoltre, la misura cautelare carceraria può essere ritenuta adeguata laddove gli arresti domiciliari non siano idonei a impedire la prosecuzione delle attività delittuose, specie se compiute in prossimità dei luoghi di residenza dell'indagato. Infine, la condizione di un figlio minore affetto da patologie non integra, di per sé, un limite all'applicazione della custodia cautelare in carcere ai sensi dell'art. 275, comma 4, c.p.p., se tale condizione non risulta adeguatamente comprovata e non impedisce l'esecuzione della misura.