Il Regolamento urbanistico comunale può legittimamente prevedere la destinazione di determinate aree a "pianificazione differita", subordinando la loro edificabilità a una successiva procedura competitiva e comparativa tra i proprietari, in quanto tale istituto non configura un vuoto disciplinare o una rinuncia alla pianificazione, ma rappresenta una diversa modulazione dell'esercizio della funzione pianificatoria, funzionale a rendere trasparenti le scelte pubbliche e realizzare quanto più possibile l'interesse pubblico, in linea con i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento. La mancata inclusione di determinate aree nelle previsioni edificatorie immediate del Regolamento urbanistico, a fronte della loro precedente inclusione in una variante al previgente Piano regolatore generale, non costituisce di per sé un vizio di legittimità, atteso che il Piano strutturale non impone la trasposizione automatica di tali previsioni nel nuovo strumento urbanistico, limitandosi a definire i limiti della crescita urbana. Inoltre, la modifica della destinazione urbanistica di un'area, su richiesta del proprietario, comporta il venir meno degli accordi convenzionali precedentemente stipulati, senza dar luogo a un diritto all'indennizzo ai sensi dell'art. 11 della legge n. 241/1990.