Il reato di minaccia si configura quando la condotta dell'agente, anche attraverso espressioni verbali, è potenzialmente idonea a incidere sulla libertà morale del soggetto passivo, a prescindere dall'effettiva percezione di intimidazione da parte di quest'ultimo. Ai fini dell'integrazione del reato, non è necessario che la persona offesa si sia sentita effettivamente minacciata, essendo sufficiente che le parole o i comportamenti dell'imputato abbiano avuto una carica intimidatoria tale da destare nella vittima una comprensibile preoccupazione. La valutazione della sussistenza degli elementi costitutivi del reato di minaccia rientra nella competenza esclusiva del giudice di merito, la cui motivazione non può essere sindacata in sede di legittimità se non in presenza di palesi illogicità o contraddizioni. Quando il giudice di merito abbia accertato la responsabilità dell'imputato per il reato di minaccia, la Corte di Cassazione può intervenire solo per la rideterminazione della pena, senza poter riesaminare il compendio probatorio e la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di primo grado.