Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza può essere così sintetizzato: La condotta di estorsione aggravata dalla finalità di agevolare l'attività di un'associazione di tipo mafioso sussiste quando il soggetto, sfruttando la propria appartenenza a un clan mafioso e la conseguente capacità di intimidazione, costringe la vittima a cedere gratuitamente un bene di valore, anche attraverso minacce implicite, al fine di procurare provviste finanziarie nell'interesse del gruppo criminale di riferimento. In tali casi, la prova della sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 7 della L. 203/1991 può desumersi dalle dichiarazioni della vittima che attestino il collegamento tra la condotta estorsiva e l'appartenenza dell'autore all'associazione mafiosa, nonché dall'inequivoco riferimento dell'indagato all'esigenza di "far camminare" l'attività criminale del clan attraverso l'acquisizione forzosa del bene. La valutazione complessiva degli elementi indiziari, anche in assenza di prove dirette, può pertanto condurre all'affermazione della responsabilità penale per il reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso, senza che assuma rilievo decisivo l'eventuale mancato pagamento di altri beni ceduti in precedenza dalla vittima, né la circostanza che quest'ultima non abbia inizialmente denunciato i fatti.