La massima giuridica che si può trarre dalla sentenza è la seguente: Il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) richiede l'accertamento del contributo dinamico e consapevole del singolo imputato all'attività del sodalizio criminoso, valutato nel contesto complessivo delle condotte e dei ruoli svolti dai partecipi, senza che sia necessaria la prova della diretta partecipazione a singoli reati-fine. La valutazione di tale contributo non può essere effettuata in modo atomistico e frammentario, ma deve tenere conto di tutti gli elementi probatori, anche indiziari, che dimostrino il legame funzionale tra le attività svolte dall'imputato e gli interessi dell'associazione. La mera esistenza di rapporti di parentela o di frequentazione tra l'imputato e gli esponenti di vertice del sodalizio non è di per sé sufficiente a provare la partecipazione, ma può costituire un elemento indiziante qualora si inserisca in un quadro probatorio più ampio. Analogamente, la disponibilità di armi da parte degli imputati, se contestualizzata nell'ambito dell'attività del sodalizio mafioso, può integrare il nesso funzionale tra la condotta e gli interessi dell'associazione, rilevante ai fini dell'applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 7 L. 203/1991. La confisca prevista dall'art. 12-sexies L. 356/1992 è obbligatoria non solo in caso di condanna per il reato associativo, ma anche per i reati-fine, come l'usura, commessi al fine di agevolare l'attività del sodalizio mafioso.