Il divieto di appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento, introdotto dalla c.d. legge "Pecorella", è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale, ripristinando così la possibilità per il pubblico ministero di impugnare tali sentenze. Pertanto, la Corte di Cassazione, in presenza di un ricorso del pubblico ministero avverso una sentenza di proscioglimento, deve annullare l'ordinanza di inammissibilità dell'appello e disporre la trasmissione degli atti alla Corte di Appello per il giudizio di secondo grado, al fine di consentire il riesame della decisione di primo grado. Tale principio si fonda sulla necessità di garantire il rispetto del diritto di azione e di impugnazione del pubblico ministero, quale parte processuale titolare dell'azione penale, e di assicurare il controllo giurisdizionale sulle pronunce di proscioglimento, a tutela dell'interesse pubblico all'accertamento della verità e all'applicazione della legge penale. La Corte di Cassazione, nel valutare la legittimità dell'ordinanza di inammissibilità dell'appello, non entra nel merito della decisione di primo grado, ma si limita a verificare la corretta applicazione della normativa processuale, in particolare il ripristino del diritto di impugnazione del pubblico ministero a seguito della declaratoria di incostituzionalità della legge "Pecorella". Pertanto, il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione si incentra sulla tutela del diritto di azione e di impugnazione del pubblico ministero, quale corollario del principio di obbligatorietà dell'azione penale e del dovere di perseguire i reati, nonché sulla necessità di assicurare il controllo giurisdizionale sulle pronunce di proscioglimento, a garanzia dell'interesse pubblico all'accertamento della verità e all'applicazione della legge penale.