Il pubblico ufficiale che, nell'esercizio delle proprie funzioni, commette atti di violenza sessuale nei confronti di persone a lui subordinate o comunque sottoposte alla sua autorità, integra il reato di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis c.p., procedibile d'ufficio ai sensi dell'art. 609-septies, comma 4, n. 3 c.p. Tali condotte, caratterizzate da un indubbio contenuto libidinoso ed erotico, ledono la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale, indipendentemente dalla sussistenza di una querela. I giudici di merito, attraverso un'analisi puntuale e congrua delle risultanze processuali, possono accertare la responsabilità penale dell'imputato, senza che le censure difensive, meramente ripetitive di quanto già valutato, possano essere ritenute fondate in sede di legittimità, in quanto costituiscono in sostanza eccezioni di fatto non consentite in tale sede. L'esercizio del diritto di difesa da parte dell'imputato, inoltre, non risulta compromesso dalla legittima acquisizione e utilizzazione degli atti di indagine, né dalla formulazione delle imputazioni, che deve essere ritenuta sufficientemente determinata, né dalla inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in sede amministrativa, trattandosi di atti non rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 63 c.p.p.