Cassazione penale Sez. II sentenza n. 20287 del 23 maggio 2002

ECLI:IT:CASS:2002:20287PEN

Massima

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Il reato di riciclaggio (art. 648-bis c.p.) si configura quando l'agente, con condotte di sostituzione, trasferimento o compimento di altre operazioni che ostacolano l'identificazione della provenienza delittuosa, si adopera per "pulire" denaro, beni o altre utilità provenienti da qualsiasi delitto non colposo, a prescindere dalla finalità di procurare a sé o ad altri un profitto o di aiutare gli autori del reato presupposto ad assicurarsi il profitto del reato, essendo sufficiente la coscienza e volontà di compiere tali condotte. Tale fattispecie delittuosa si differenzia dal reato di favoreggiamento reale (art. 379 c.p.) per la maggiore ampiezza della condotta, che non si limita al mero aiuto all'autore del reato, ma consiste in specifiche operazioni volte a ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del denaro, beni o altre utilità. L'aggravante di cui all'art. 7 d.l. n. 152/1991 si applica quando la condotta di riciclaggio è finalizzata a favorire l'attività di un'associazione mafiosa, anche se il denaro, beni o altre utilità provengono da reati commessi da singoli affiliati e non direttamente dall'associazione, in quanto ciò rende comunque difficilmente percepibile all'esterno la distinzione tra beni dell'associazione e beni del singolo. Nella determinazione della pena, il giudice deve valutare la spiccata gravità dei fatti, il comportamento processuale dell'imputato e ogni altro elemento idoneo a delineare la sua personalità e la concreta pericolosità sociale, senza che possano essere sindacate in sede di legittimità le sue valutazioni discrezionali, se correttamente ancorate ai suddetti criteri.

Sentenza completa

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il g.i.p. presso il Tribunale di Lecce, con sentenza in data 30 maggio 2000, condannava A. S. alla pena di anni quattro di reclusione e lire 3.000.000 di multa, per il reato di cui agli artt. 81 e 648 bis c.p. con l'esclusione della aggravante di cui all'art. 7 d.l. n. 152 del 1991 e con la diminuente del rito abbreviato.
A seguito di appello sia del p.m. che dell'imputato, la Corte di Appello di Lecce, con sentenza in data 7 febbraio 2001, dichiarava sussistente l'aggravante di cui all'art. 7 d.l. n. 152 del 1991 e, per l'effetto, rideterminava la pena in anni cinque, mesi uno, giorni dieci di reclusione e lire 4.000.000 di multa, confermando nel resto la pronuncia del giudice di primo grado.
Propone ricorso per cassazione il difensore di A. S., deducendo:
a) erronea applicazione degli artt. 266 e ss. c.p.p. e conseguente disapplicazione dell'art. 271 stesso codice, mancanza di motivazione in ordine alla riaff…

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