La partecipazione di un soggetto a un'associazione di tipo mafioso, ai fini dell'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, può essere desunta da gravi indizi di colpevolezza costituiti dalle dichiarazioni accusatorie di un collaboratore di giustizia, coerentemente riscontrate dal contenuto di plurime conversazioni intercettate, che dimostrino il ruolo di affiliato e stretto collaboratore del soggetto nei confronti dei capi dell'associazione, nonché la sua attiva partecipazione agli interessi economici e commerciali della consorteria criminale, anche attraverso l'intestazione fittizia di un'impresa funzionalmente collegata alle attività illecite della cosca. Tali elementi, unitamente all'assenza di prova della recisione dei legami con l'associazione mafiosa, sono idonei a integrare la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p., rendendo la custodia in carcere l'unica misura adeguata a fronteggiare il concreto e attuale pericolo di reiterazione dei reati.