Il giudizio di revisione, quale rimedio straordinario avverso il giudicato penale, è ammissibile solo quando le nuove prove dedotte dal condannato siano astrattamente idonee a dimostrare, ove accertate nel successivo giudizio di revisione, il suo proscioglimento ai sensi degli artt. 529, 530 e 531 c.p.p. Pertanto, il giudice, nella fase preliminare di delibazione della richiesta di revisione, deve limitarsi a valutare in astratto la capacità dimostrativa delle nuove prove, senza anticipare l'apprezzamento di merito riservato al giudizio di revisione, dovendo invece ritenere preclusa una penetrante valutazione prognostica circa la loro idoneità a sovvertire il giudicato di condanna. In particolare, la dichiarazione liberatoria di un coimputato, pur costituendo un elemento probatorio da valutare unitamente agli altri elementi che ne confermino l'attendibilità ai sensi dell'art. 192, comma 3, c.p.p., non integra di per sé una "prova nuova" idonea a giustificare l'ammissione del giudizio di revisione, in assenza di una valutazione complessiva della sua capacità dimostrativa rispetto al giudicato di condanna.