Il delitto di falsità in scrittura privata, previsto dall'art. 485 c.p., tutela non solo l'interesse pubblico alla genuinità materiale e alla veridicità ideologica di determinati atti, ma anche quello del soggetto privato sulla cui sfera giuridica l'atto sia destinato ad incidere concretamente, con la conseguenza che egli riveste la qualità di persona offesa dal reato. Ai fini della sussistenza del dolo nel delitto di falsità in scrittura privata, è sufficiente che l'azione del soggetto sia determinata dal fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, senza che occorra una correlazione fra le due ipotesi. Integra altresì il reato di cui all'art. 481 c.p. la condotta del legale che autentichi la firma apocrifa del cliente, essendo sufficiente che l'atto sia idoneo al conseguimento di un qualsiasi effetto giuridicamente apprezzabile, a prescindere dalla consapevolezza dell'imputato circa la falsità della sottoscrizione, essendo richiesto soltanto il dolo generico, inteso come coscienza e volontà del fatto tipico della norma incriminatrice.