Cassazione penale Sez. V sentenza n. 15178 del 23 aprile 2002

ECLI:IT:CASS:2002:15178PEN

Massima

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Il reato di ingiuria sussiste quando l'agente usa consapevolmente espressioni il cui significato obiettivo e socialmente condiviso sia offensivo, a prescindere dal fine perseguito, essendo sufficiente il dolo generico. L'offesa è innegabile quando si attribuiscono all'offeso comportamenti penalmente sanzionati, in quanto il disvalore di tali azioni è giuridicamente stabilito. Né la qualità o lo status di colui che adopera l'espressione ingiuriosa può assumere rilievo scriminante, a meno che tale potere "pedagogico" gli sia riconosciuto dal destinatario o dall'ordinamento, dovendo comunque essere esercitato entro i limiti della continenza. Il giudice di merito, nel rivalutare gli elementi del caso, dovrà accertare la sussistenza del reato di ingiuria sulla base di tali principi, verificando altresì l'eventuale ricorrenza di cause di giustificazione o circostanze giuridicamente rilevanti.

Sentenza completa

E. A. è stato assolto dal Tribunale di Pesaro dal delitto ex art. 594 commi I, II, e IV c.p. in danno di G. B. (costituitosi PC), perché il fatto non costituisce reato.
Ricorre per cassazione il difensore del G. e deduce violazione dell'art. 594 c.p., nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione, sostenendo che erroneamente il giudice di merito ha ritenuto insussistente la lesione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, atteso che il contenuto della lettera che l'imputato indirizzò al G. contiene frasi ingiuriose ed accuse di comportamenti antigiuridici.
Il Tribunale ha poi di nuovo errato quando ha escluso la sussistenza dell'elemento psicologico del reato de quo, sostenendo che il fine perseguito dall'imputato non era "del tutto coincidente con l'offesa". Secondo il primo giudice, I'imputato aveva rivolto critiche certamente severe al G., ma lo aveva fatto anche (in quanto sacerdote) perché intendeva indiri…

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