Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: L'azione revocatoria fallimentare, proposta con rito camerale dalla curatela di un fallimento pronunciato nella vigenza della Legge Fallimentare, articolo 24, comma 2, ma in data successiva all'abrogazione di tale disposizione per opera del Decreto Legislativo n. 169 del 2007, articolo 3, comma 1, deve essere dichiarata inammissibile in applicazione del principio tempus regit actum, in quanto il processo si svolgerebbe secondo un rito previsto da una norma abrogata ancor prima del suo inizio. La disciplina transitoria di cui all'articolo 22 del decreto correttivo, che fa riferimento alle "procedure concorsuali", deve essere interpretata in senso letterale, come riferita alla sola disciplina propria di tali procedure e non anche alle controversie che, pur originando dal fallimento, sono regolate dalla legge speciale solo quanto all'esclusiva competenza a conoscerle del tribunale che ha emesso la sentenza dichiarativa. Tale interpretazione è conforme alla Relazione illustrativa al decreto correttivo, la quale evidenzia come la modifica prevista dall'articolo 3, comma 1, miri a sopprimere la grave disarmonia derivante dall'applicazione del rito camerale a controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi che, pur derivando dal fallimento, si svolgono al di fuori della procedura concorsuale, nei confronti di terzi estranei al fallimento, i quali verrebbero privati delle garanzie dei due gradi di cognizione piena. Tale scelta del legislatore, volta a ricondurre tali azioni alla disciplina del giudizio ordinario di cognizione, è imposta dal rispetto dei principi di cui agli articoli 3 e 24 della Costituzione.