Il comportamento persecutorio e violento di un soggetto nei confronti della propria coniuge separata, caratterizzato da reiterate condotte di molestia, minaccia e limitazione della libertà personale, idonee a cagionare un grave e perdurante stato di ansia e paura nella vittima, integra il reato di atti persecutori, anche in assenza di una dimostrazione diretta dell'evento lesivo, essendo sufficiente che tali condotte siano astrattamente idonee a produrre l'effetto destabilizzante lamentato dalla persona offesa, in considerazione della sua condizione di fragilità. La valutazione della credibilità della persona offesa e dei testimoni, nonché l'apprezzamento delle prove a carico dell'imputato, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui giudizio non è sindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato, come nel caso di specie, in cui le dichiarazioni della vittima e della figlia sono state ritenute coerenti e attendibili, mentre le argomentazioni difensive non hanno superato il vaglio di specificità richiesto per l'ammissibilità del ricorso per cassazione.